Non si esce vivi dagli anni ’80*

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– A volte ho la netta sensazione che sia tardi.
Glielo dice di slancio, tirandosi contemporaneamente su il lenzuolo con un gesto scomposto.
– Hai freddo?
Le chiede lui. Ma ĆØ piĆ¹ la premura del padrone di casa che quella dellā€™amante affettuoso.
– No, noā€¦ĆØ che sto meglio cosƬ.
– E per cosa sarebbe tardi?
– Quasi per tutto. Per comprare una casa. Per fare dei figli.
Lui si gira verso di lei, appoggia la testa alla mano, la inclina, ha lo sguardo di un gatto che ha ritrovato una pallina perduta.
Le chiacchiere dopo gli orgasmi sono una delle cose preferite di Rossella. Come se si fosse lƬ da sempre a rifondare il mondo, anche se ci si ĆØ visti un paio di ore prima per la prima volta.
La veritĆ  dei dialoghi post-coito fra perfetti sconosciuti ĆØ qualcosa a cui lei non vorrebbe mai rinunciare. Quando lo ha fatto, per brevi periodi di fedeltĆ , come quello concluso da poco causa ā€œpiĆ¹ grande amore della vita in corsoā€, si ĆØ sempre sentita meno se stessa, piĆ¹ sfumata, piĆ¹ perduta.
– ƈ tardi, dici?
Le sorride. Ha gli occhi piĆ¹ chiari che Rossella abbia mai visto.
– Lo ĆØ.
– Per la casa? Per i figli? Per tutte quelle cose che diventano la tua eterna palla di cemento al piede?
– Tengo in borsa sia la pillola che i preservativi. Ti sembro il tipo che vuole palle al piede?
– No, infatti. Mi sembri una che sa quello che vuole, e fra le cose che vuole non vedo la famiglia Mulino Bianco.
– Siamo proprio ninety con questa definizione.
Ora ĆØ lei a sorridere.
– Ma noi siamo deliziosamente ninety. In fondo siamo cresciuti lƬ. Allattati negli eighty e svezzati nei ninety. ƈ la nostra dannazione forse. E poiā€¦hai una definizione migliore per quella roba lƬ?
– Nella mia testa ā€œquella roba lƬā€ ha preso il doppio cognome scritto sul campanello in ottone del mio ex e del suo attico con mutuo trentennale cointestato.
– Ecco. Appunto. Per quello ĆØ tardi? Per quel Mulino che diventa un sepolcro imbiancato dal quale si puĆ² uscire solo per qualche mezzā€™ora con autorizzazione scritta dal carceriere e per buonissime cause?
– Che non sono scoparsi una ragazza conosciuta al lavoroā€¦
– E no. ƈ tardi per il guinzaglio, i pasti bilanciati, alcool solo il sabato sera, le riunioni con le maestre?
Ridono. Forse perchĆ© si sentono molto piĆ¹ forti del mondo. O forse perchĆ© a quarantanni continuare a credere in una gioventĆ¹ eterna e sfrenata ĆØ patetico, ma ĆØ anche resistenza. O forse ĆØ solo essere figli sciagurati e allineati degli irresistibili anni ā€™80.
Un poā€™ inizia a fare freddo. Il pomeriggio ha lasciato campo libero alla sera senza fare rumore. Rossella cerca anche il piumone.
– Comunque quella gente magari ĆØ felice. ƈ rassicurata da quel mutuo, dal chiudere la porta di camera dei pargoletti la sera, sdraiarsi sul divano, guardare le ragazzine o le milf, a seconda dello stile, su onlyfans, mentre si aspetta la dolce metĆ  con la quale lamentarsi del lavoro, preoccuparsi insieme della guerra in Ucraina o di come far mangiare i broccoli al bambino, dellā€™avanzare delle destre e di unā€™insegnante di inglese poco preparata. Poi scegliere un telefilm a caso, mentre lui si addormenta con la bavetta alla bocca e il cellulare ben nascosto, e lei ne approfitta per scrivere a quel papĆ  che le sorride sempreā€¦
– Rossella, ti rendi conto di aver descritto un girone infernale? Come potrebbero essere felici?
– Ma stiamo davvero meglio noi con il nostro sesso corsaro, il volontariato, i fiumi di alcool infrasettimanale, i corsi di danza e pittura, teatro e cinema tre volte a settimana, la rabbia e la malinconia con cui riempiamo le nostre giornate per arrivare a casa storditi e dimenticare che siamo soli?
Rossella si chiede se non stia esagerando. Se non lo stia spaventando. Se in fondo Francesco, si chiama Francesco?, non stesse solo cercando una moretta formosa e focosa con cui passare un paio dā€™ore e non una sociologa della disperazione contemporanea.
– Sono soli anche loro. E campano di bugie.
– Magari qualcuno si ama davvero.
– O magari ha paura di accorgersi che la vita ĆØ fuori dal portone con i campanelli di ottone. PerchĆ© poi deve vivere, non ci sono piĆ¹ scuse. Ti racconto una cosa, Rossella.
Lei si tira a sedere. Ora nella sera che si sta inoltrando non vede piĆ¹ con precisione il viso dellā€™uomo. Ma lo sente fare un sospiro profondo, come quelli che fai prima di lanciarti da un trampolino molto alto, e capisce che il buio in quel momento ĆØ il loro migliore alleato.
– Forse non ti sei accorta, entrando, di una porta sulla destra. ƈ la camera dei miei bambini. Sono due. Hanno 9 e 12 anni. Sofi e Lele.
– Non avevo notato tracceā€¦
– Non ci sono. Tengo separate le mie ā€œdue viteā€ come tengo separati i miei giorni e quelli della mia ex.
– Ah, beh. Almeno ĆØ una ex.
– Non lo ĆØ sempre stata. Per anni ĆØ stata la tizia sul divano. Non fraintendermi. Era la donna che pensavo di amare, abbiamo scelto tutta la vita che abbiamo avuto, in fondo le voglio ancora un gran bene. Per anni, venti, abbiamo pensato entrambi che il massimo a cui potevamo aspirare fosse quella tranquillitĆ  del divano. Mentre io scrivevo alle altre, innumerevoli, da sempre, e lei anche, ma lā€™ho scoperto molto dopo. Ci siamo lasciati prima dei bambini e del mutuo. Ci siamo ripresi. Abbiamo condiviso timore e tremore. Ho visto la mia compagna trasformarsi e deformarsi. Passare dallā€™essere una donna, magari non troppo consapevole, sicuramente poco incline alle frivolezze, a essere una madre, sempre attenta, sempre presente. Mi ha sostenuto quando avevo paura. Mi ha sempre spronato a riconoscere il mio valore. Ma le altre mi davano la vita. Mi toglievano gli anni. Mi ha scoperto. Una, due, tre volte. Mi ha perdonato. Ci siamo giurati amore e amore.
– Scusaā€¦come ha potuto perdonarti? Come ha potuto crederti?
– PerchĆ© quel divano, la sera, Rossella, vince tutto. Vince anche la vita. Quel divano ĆØ un alibi troppo attraente. Le feste comandate, le gite in bici, il campeggio dā€™estateā€¦tutto va come deve andare. E tu non sei poi cosƬ stronzo se comunque dai da mangiare alla tua famiglia. Se ti occupi di comprare il pellet per lā€™inverno, accompagni tuo suocero a una visita, hai fatto una pensione integrativa che permetterĆ  forse ai tuoi figli di scegliere con tranquillitĆ  cosa studiare.
– La domanda ĆØ perchĆ© lei ti ha perdonato. Non perchĆ© tu sei rimasto.
Rossella si ĆØ innervosita. ƈ una storia che le ĆØ troppo familiare. Il traditore, la moglie che perdona perchĆ© senza un uomo ĆØ perduta. No, non anbche questo sconosciuto abbronzato professore in t-shirt che scopa con la foga di un ragazzo. Non puĆ² essere anche lui uno di quelliā€¦
– Non lo so. Allā€™inizio non me lo sono chiesto. Mi sono lavato nellā€™acqua santa del suo perdono e sentito il peggiore degli uomini per molto tempo. Poi ho pensato che lei avrebbe saputo spiegare ancora meno di me ai bambini, ai genitori, agli amici di sempre, perchĆ© ero cosƬ stronzo. O dove lei avesse fallito. O perchĆ© non eravamo piĆ¹ ā€œquelli del Mulino Biancoā€, come dicevamo prima. O cosa fosse successo in quei ventanni. Io pensavo che fosse come dici tu. Che lei fosse di quelle felici in quella vita per la quale aveva sacrificato un sacco di sogni. PerchĆ© io me la ricordo comā€™era quando era una ragazza che sognava.
– ƈ la storia piĆ¹ banale del mondo. Pensavo tu fossi un pazzo vero, come me. Non uno che ĆØ stato mollato nel mezzo del cammin di sua vita perchĆ© era un traditore seriale.
– Beh. Un traditore seriale non ĆØ un pazzo vero?
– No. ƈ solo un uomo annoiato.
– Vuoi sapere come finisce la storia?
– Ti ascolto.
– Ma mi stai giudicando. E non ci si giudica mai nudi in un letto, lo sai?
– Non ti giudico. Ma sono allergica agli uomini bambini e alle donne madri.
– Posso finire, Mademoiselle?
– Prego.
– Bene. A un certo punto lei si ĆØ innamorata. Non era un papĆ  ma un banale collega. E le donne quando si innamorano sono meglio degli uomini.
– Oh. Lo sono quasi sempre.
– Lo sono sempre. Non quasi. Una sera su quel divano mi ha detto che non avremmo guardato un telefilm. Che mi lasciava. Che mi aveva sempre perdonato davvero. Forse perfino capito. Che mi aveva reso il famoso pan per focaccia varie volte e non ci aveva trovato grandi soddisfazioni. Che si era anche innamorata. Ma che non era quello il punto, lā€™altro non cā€™era nemmeno piĆ¹, ma lei si era innamorata davvero per la prima volta della donna che vedeva allo specchio. Di una quarantenne che non sapeva piĆ¹ ridere. Che non meritava un uomo che nemmeno si accorgeva di quanto fossero infelici. Quasi da sempre. Che quel divano non poteva diventare la sua pietra tombale. Che fosse la mia, se pensavo di valere quello. Avrebbe compiuto gli anni il giorno dopo.
– Cazzo. Chapeau. Applausi alla signora. Tanta psicanalisi?
– O quella famosa forza delle donne.
– ƈ una cazzata. Le donne possono essere insulse e orride quanto voi. Sai che una volta una donna mi ha detto che le faceva pena il mio bisogno di definirmi fra le lenzuola?
– Le avevi rubato il marito?
– Rubare mariti ĆØ il mio hobby preferito. Li seduco, li spremo, prendo quel poco di buono che hanno fra le gambe e li abbandono.
– Rossella, ti conosco da quattro ore e ho capito che tu sei proprio un uomo. E molto poco solidale con le donne!
– Non lo so cosa sono, nĆ© con chi sono solidale. So che non mi piace annoiarmi. E non mi piacciono le persone senza coraggio. Odio le bugie. Odio i sotterfugi. Mi piace il sole, lā€™estate, prendersi a schiaffi piuttosto che ingoiare tristezza. E per questo sono una donna sola. PerchĆ© nella mia vita gli uomini sono scappati tutti, sempre. Morti, fuggiti, tornati al divano. E tutti mi hanno sempre detto che non riuscivano a correre veloce come me. E comunque io e suo marito ci amavamo come nei film, quelli che non bisognerebbe guardare da piccine.
– Guarda che io corro. Tutti i giorni.
– Tu cerchi solo un altro divano.
– Vedi che mi giudichi?
– Francesco?
– Rossella?
– Ho fame.
Non sa perchĆ© glielo dice. Le sembra una confessione molto intima. Si sente piĆ¹ nuda di quanto sia nuda, come se la sua fame fosse la piĆ¹ infima delle debolezze.
– Ti cucino una pasta, ti va?
– No. Vado via. Vado via perchĆ© questa pasta diventerĆ  un appuntamento fisso, poi ti aspetterai che ti dica perchĆ© non ci sono, che ti risponda al telefono. Decideremo di fare una vacanza insieme. E ti sembrerĆ  naturale farmi conoscere, senza impegno, i tuoi bambini, che sono certa siano bellissimi e simpatici. E io, come la piĆ¹ classica delle quarantenni senza prole, non vedrĆ² lā€™ora di innamorarmi di loro, di comprare i giochi, organizzare una gita al parco acquatico. PorterĆ² qui uno spazzolino. Dei vestiti. La mia vita. SmetterĆ² di ballare. Di flirtare con gli sconosciuti. FarĆ² in casa le crocchette di pollo e poi? Cosa hai detto prima? Il guinzaglio, i pasti bilanciati, alcool solo il sabato sera?
– Forse stai correndo troppoā€¦sono stato proprio io a dirti che non ĆØ quello che voglio, non lo ĆØ piĆ¹, perchĆ© lā€™ho provato eā€¦
– Visto? Ci conosciamo da 5 ore. E mi hai giĆ  detto che corro troppo. Io li conosco quelli come te, saresti ancora inchiodato su quel divano se non avessi avuto al tuo fianco una donna con le lettere maiuscole. Dove sono le mie mutandine? Le perdo costantemente nei letti della gente.
– Eccole. Se le tenessi io?
– Tienile. Ma fatelo scrivere sulla mia lapide: ā€œera una donna che perdeva e regalava mutandineā€.
– Niente ā€œbeloved motherā€?
– Sono madre a malapena del mio brutto carattere.
– Rossella, io non credo che tu ti faresti inchiodare a un divano. CioĆØ, legare sƬ, magari. Maā€¦non inchiodare.
Francesco ha acceso la luce. Si sorridono. Rossella inciampa nella gonna. Ha messo i tacchi prima di vestirsi, le piaceva lā€™idea di consegnare a questo passante nella sua vita lā€™immagine di lei nuda con le dĆ©colletĆ© nere tacco 12, ma in fondo ĆØ sempre una bambina goffa che gioca alla femme fatale e ci inciampa dentro.
– Rossella, dico davvero. Dammi una chance di farti assaggiare una cacio e pepe super.
Cazzo. ƈ pure la sua preferita. Come lo sa? Lo ha scritto nella bio di qualche app di incontri?
– No, Francesco. PerchĆ© io non resto incollata ai divani ma nemmeno voglio passare i miei ultimi anni buoni a cercare di scollare gli altri da lƬ.
– Scrivimi. Almeno il sesso possiamo replicarlo?
– Non piĆ¹ di tre volte. Poi ĆØ una relazione. Fai buon uso delle mie mutandine. PerĆ² aspetta. Prima magari vado in bagno.
– Come se fosse casa tua. Gli asciugamani sono nel cassetto del lavabo.
Rossella si lava la faccia. Si scatta un selfie. ƈ per la sua collezione ā€œnei bagni degli altriā€. Uscendo, senza fare rumore, si affaccia alla cameretta. Ci sono il letto a castello, le scrivanie, i poster della Marvel e dei Me contro te. Un brivido le percorre la schiena. Eccome se li avrebbe co-cresciuti i figli dellā€™amore della sua vita. Se soloā€¦
– Ciao Francesco. Guardati un bel telefilm stasera.
– Ciao Rossella, attenta a non inciampare per le scale.
– Che stronzo!
– Ma noā€¦ĆØ solo che corri cosi veloce, su quei tacchi.
– Ma conosco quando ĆØ il momento giusto di prendere un ascensore.
E poi cā€™ĆØ la luna e ci sono le stelle. ƈ il primo giorno di autunno. Rossella sorride. Pensa alla sua vita in bilico fra tormenti ed estasi. Alla tristezza congenita del suo grande amore inchiodato su un divano che non le ĆØ mai sembrato nemmeno comodo. Al professore a cui ha lasciato le sue mutandine. Al suo ex, che le ĆØ tornato in mente allā€™improvviso durante un orgasmo. A quando ha preso la pillola del giorno dopo per non rischiare di dover ammettere che avrebbe tenuto quellā€™eventuale bambino. Ai suoi amici che sono tornati insieme e nessuno riesce a essere felice per loro. A suo fratello che lavora costantemente. Alla collega che quel figlio sognato non ĆØ mai arrivato e sembra sempre triste. Ad Alice che le manda le foto delle sue tartarughe.
Tutto le pare piĆ¹ vuoto di un film di Sorrentino.
E lei non lo sa se ĆØ colpa di Tondelli e Warhol che sono morti troppo presto, dei genitori baby boomer, delle luci stroboscopiche o delle droghe sintetiche. Ma ha ragione Manuel Agnelli. Comunque vada, che si scelgano un guinzaglio o troppi prosecchi, un divano o una mutandina usata, un tradimento o una cruda veritĆ , nessuno di loro uscirĆ  vivo dagli anni ā€™80.

* ĆØ il titolo di una canzone degli Afterhours del 1999 contenuta nell’album “Non ĆØ per sempre”.