Il mio grande romantico platonico amore

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Il mio grande romantico platonico amore

Arrivo in questa grande tenuta, sulle dolci colline umbre, con le mie inquietudini e i miei tradimenti, ho due amanti e un fidanzato pilota di aerei che si ostina a non voler sapere, con il quale ho appena deciso, chissà mai perché, di convivere. Tante case coloniche, alcune su due piani, tutte coppie giovani in affitto. Inizia un periodo di grande cazzeggio, cene in giardino, tuffi in piscina, partenze per il mare alle quattro del mattino caricando in macchina gli avanzi di una cena, notti passate a giocare a carte e a ridere. I maschi vanno a cavallo, le femmine no, hanno paura. Tutte tranne una. Io. Galoppo finché i cavalli esausti si fermano, galoppo in piedi ed è una sensazione possente come un orgasmo, il pelo lucido e sudato che stringo fra le gambe… Non ho paura di nulla. Mi fanno montare i loro cavalli, giganti per il mio corpo minuto. Ci sono volte in cui usciamo tutti insieme, facendoci scherzi e ridendo come pazzi, altre in cui siamo solo tre. O due. Come quella mattina. E’ primavera, i cavalli al passo, fra due ali di ciliegi in fiore. I nostri occhi si incontrano, gli sguardi si abbracciano, dentro c’è lo stupore di un ti amo pensato all’unisono. Lui è sposato, matrimonio infelice. Vicini di casa, amici per la pelle. Difficile. E inizia una storia di sguardi, di mani sfiorate, di panchine dove ci baciamo furiosamente. In un giardino pubblico del paese più vicino, sotto un sasso, gli lascio bigliettini d’amore che lui passa a prendere. Siamo persi, persi d’amore. Vado nel suo studio – fa l’avvocato – con delle scuse, sorpasso con nonchalance la fila dei clienti che aspettano, chiudo la porta, sotto il vestito leggero sono completamente nuda, mi spoglia mi bacia tutta…non c’è tempo per altro. Cinque minuti rubati, una manciata di felicità. Lui è amico del mio compagno, non vuole. Io voglio. Alle feste alle cene dobbiamo tenere gli occhi bassi, si vede troppo. Un giorno dalla scala di casa sua mi vede e inizia a scendere, con in mano un cestino di pere. Ogni passo che fa, una pera rotola dal cestino, saltellando sulle scale. Ma lui non se ne accorge. Mi guarda, come se vedesse un miracolo. Nessuno mi ha più guardato così. Decidiamo di fare una gita a cavallo di qualche giorno. Partiamo da soli, gli uomini e io, i nostri partner a casa. Staremo fuori due notti. Due notti per noi. Mi gira la testa, mi si ferma il cuore appena ci penso. Due notti. Noi. Tre giorni prima, usciamo a cavallo: il suo è nervoso, non si capisce perché. Lo disarciona, troncato il perone di netto. Lo stecchiamo con dei rami e una cintura, lo portiamo in ospedale. Trenta giorni di gesso. Quella notte la moglie si chiude in casa e lo lascia fuori, in terrazzo, lui e il suo gesso. Aspetto che il mio uomo si addormenti, percorro nel buio il vialetto che ci separa, salgo le scale, mi siedo vicino a lui. Passiamo la nostra unica notte d’amore, così. Tenendoci per mano, ripercorriamo questi mesi, ci diciamo, finalmente, quanto ci siamo amati, quanto siamo persi l’uno nell’altra. La gamba immobilizzata in una gabbia di gesso, sfinito dalla sofferenza e dalle tensioni del giorno, riacquista forza e sorriso. L’alba ci trova che parliamo ancora. Esce di casa il mio uomo per il suo jogging di prima mattina, passa di lì e mi vede. “Mi sono svegliata presto, avevo caldo, sono uscita, era appena uscito anche lui, aveva male alla gamba, facciamo due chiacchiere”. Quella è stata la nostra unica sfolgorante magica notte d’amore. Non ci siamo più nemmeno sfiorati.

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