La valigia

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La valigia mi obbliga a pormi delle domande e a prendere decisioni che, una volta chiusa, sono irreversibili. La sua interrogazione esige risposte qui e ora.

Sebbene l’indecisione non mi appartenga, di fronte alla valigia vorrei poter tergiversare il più a lungo possibile, fare finta che non esista o che per magia si riempirà da sola di cose davvero utili. Come faccio a sapere cosa mi servirà per i prossimi venti giorni? Posso solo fare congetture. Posso solo abbondare, ma lo spazio è limitato e questa abbondanza è pur sempre il frutto di una sottrazione. Inizio con un sentimento di ammanco e finisco anche peggio perché puntualmente mi chiedo dove avessi la testa quando è stato il momento di scegliere.

Le variabili da calcolare per farla bene sono troppe e troppo eterogenee: motivo del viaggio, destinazione, durata, meteo, imprevisti…solo questi ultimi sono imponderabili per loro natura. Come quella volta che arrivai a New York a fine ottobre e le previsioni meteo sbagliarono in pieno. Mi ritrovai con 30 gradi e vestiti invernali.

Anche quando è vuota la valigia è già piena di punti di domanda e un solo punto esclamativo: la coccola. Un asciugamano con cui dormo da quando sono nata e che ho chiamato così appena ho iniziato a parlare. La porto con me ovunque vada. È l’unica certezza.

Se fossi ricchissima vorrei un guardarobiere. A pari merito con il fare la valigia c’è il dramma del cambio di stagione nella mia vita. Se poi fosse così gentile da farmi anche la spesa…. Perché pure al supermercato l’hic et nunc mi mette all’angolo. Devo decidere ora cosa vorrò mangiare e bere tra qualche giorno. Solo a me pare una scelta temeraria?

Con gli anni il mio rapporto con la valigia (e con la spesa) invece di migliore è peggiorato. Perché mai poi avrebbe dovuto migliorare? Come si può sperare di affinare la divinazione?

Con questo senso di manchevolezza e indeterminazione mi appresto dunque a preparare la valigia per il prossimo viaggio. Destinazione il Giappone. Ci sono già stata e so che in estate mi serviranno tanti cambi visto come si suda a causa del “mushi atsui”, ossia il caldo umido.

La vedo lì, all’ingresso. La mia valigia è inquietante come una sfinge pronta a pormi il suo enigma: che cosa vuoi portare con te? Certo non mi divorerà se sbaglio la risposta ma la sua è una finta pietà. A demolirmi ci penserà l’assenza di questo o di quello.

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4 chili e 750 grammi di Yuki hanno visto la luce il 22 marzo 1975. Capelli ricci, occhi a mandorla, una macchia mongolica. Niente collo. Questo è uscito solo verso i tre anni insieme al suo carattere volitivo che ha dato filo da torcere soprattutto alla madre. Cresciuta con severi principi nipponici (la maggior parte dei quali da lei sradicati non appena l’età glielo ha permesso) ha sempre avuto il senso del dovere e una vita irreprensibile (fino ad ora). Proprio per questo invidia le persone con un po' di follia. Lavorare in un ambiente creativo la aiuta. Ama passare il tempo libero guardando film d’azione o leggendo saggi inutili ma curiosi, sorseggiando whisky torbato e aspirando fumo alla menta. Visto che del domani non c’è certezza si gode ogni piccola cosa, soprattutto la natura perché capace di calmare la sua naturale irrequietezza.

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